the artist commonly known as technogod
tack at
as
y:dk
1999
">>"
da blow-up n. 28 sett. 2000
da neural on line
La voce di Koulermos, ex Technogod, dolcemente straziata da un'apparente inguaribile
'male di vivere' trascina lentamente su fondi melmosi di giornate inutili.
Claustrofobia e ricordi che colano dalle cover (italiane e straniere) stravolte
e psicotiche con ironia, si attaccano perfettamente alle soffocanti spire
vocali, che scorrono con ottimo tempismo, grazie alle melodie strutturate
in background con buon sequencing. Una poesia di Derek Jarman viene letta
in 'Narcissus' da un sintetizzatore vocale, che in questo contesto sembra
uscito dal 6510 del Commodore 64 sulla cui scatola è stata dimenticata
una fanzine dark, fotocopiata. Indietro con buona memoria.
da www.rockit.it
di Matteo Remitti (e-mail: matteo@rainbow.unimo.it)
I Technogod hanno lasciato, nella musica italiana del decennio passato, tracce
sotterranee ma indelebili (i due album "Hemo glow ball" (1992) e,
soprattutto, "2000 below zero" (1995) sono monumenti misconosciuti),
e nella loro infaticabile attività di remixatori (limitandosi all'Italia
sono passati per le loro indelicate mani i pezzi di Santo Niente, Bluvertigo,
Casino Royale, Mau Mau, La Crus, CCCP, R.S.U. e tanti altri...) hanno raggiunto
un livello di creatività ineguagliato. Dj, musicista, produttore, remixatore,
George Koulermos aka y:dk dei Technogod è stato co-fondatore e voce
("voiceovermatter", nel booklet dell'ultimo album) ed è oggi
il solo superstite del quartetto originario: mentre si avvicina l'uscita del
nuovo album con la vecchia ragione sociale, prevista per la prima parte del
2001, y:dk ha pubblicato per la neonata etichetta MOX/NHP il suo primo lavoro
solista. Se dell'approccio tipico dei Technogod resta l'eterogeneità
dei contenuti sonori, il baricentro musicale si sposta in maniera sostanziosa:
meno irruento, diffusamente cupo e a volte addirittura malinconico, spesso
scarno e/o rallentato, ">>" unisce alla caratteristica cura
meticolosa della struttura sonora, elaborata da y:dk con i contributi continui
e determinanti di Loz e Phoeb, un utilizzo quanto mai multiforme e versatile
della voce, che lascia spazio più di una volta all'uso quasi inedito
della lingua italiana (l'unico precedente era datato 1996, quando con Sergio
Messina/Radio Gladio i Technogod avevano pubblicato "L'anno del maiale",
deciso attacco antiberlusconiano ancora tristemente attuale): il risultato
è un caleidoscopio di sonorità differenti, dal quale già
al terzo ascolto emerge un'innegabile e sorprendente coesione, difficile da
pronosticare a partire dai mille riferimenti che saltano in mente ascoltando
i singoli pezzi. C'è davvero di tutto, tenuto insieme da una voce che,
al pari della musica, accantona almeno parzialmente l'approccio aggressivo
che aveva caratterizzato l'esperienza Technogod (a maggior ragione dal vivo)
a vantaggio di un cantato spesso scuro, sempre riconoscibile e all'altezza
in ognuna delle diversissime prove che si trova ad affrontare. "Vertigone"
e "Indigo chamber" sono due strumentali dalle nette coordinate di
un drum'n'bass mai estremo (nel secondo l'andamento ed un violoncello in evidenza
ricordano i migliori Here) che ospitano in chiusura rispettivamente l'immortale
monologo amletico e tre versi taglienti recitati da un sedicente Emidio de
Maupassant (e visto che siamo a Bologna...), la suggestiva cover di "Walking
on a wire" di Richard Thompson è solo voce intensa su un fondo
continuo con qualche sporadico tasto di piano e lo sfrigolio di una saldatrice
(accuratamente riportata nei crediti), "...then" è costruita
in maniera analoga, "Passive attack" fin dal titolo (splendido)
si colloca senza timori reverenziali e con buona riuscita dalle parti di Bristol
metà anni '90, in "Narcissus" una poesia di Derek Jarman
viene recitata dalla voce gelida e sibilante del computer su un fondo cupissimo
riempito da un basso alla Bill Laswell, il ragtime di "Zheroes"
(con Bowie che diventa "we could be heroes just for one more day, ma
siamo zheroes assegnati ormai") e "'Ndranghetto" sembrano piovuti
direttamente da decenni lontani. In "My grief" e "Menagerie"
ci si avvicina ad un hip hop sussurrato, strascicato, torbido, solo a tratti
colorato da lievi aperture melodiche, mentre "72 virgins" mette
in evidenza un piglio vocale alla Billy Idol (!?) e "Homecoming"
è una magica e classica ballata triste con chitarra country; "Risvegli"
è la riproposizione in italiano di "Come to" (Technogod e
Dark Star), "Ya9" e' un efficace ed accattivante omaggio al "sound
elettrocrucco anni '80", e la soprendente cover destrutturata ("postpunk"?)
di "Un giorno dopo l'altro" di Luigi Tenco ha un innegabile fascino
obliquo. Superato lo scoglio dei primi due ascolti, dai quali è davvero
improbabile non uscire un po' disorientati, l'album scorre benissimo: davvero
arduo identificare passaggi infelici, davvero facile perdersi tra troppe possibili
candidature se si cerca di evidenziare i titoli migliori, davvero probabile
ritrovarsi a far ripartire il cd subito dopo l'ultima nota. La varieta' di
stili è gestita in modo esemplare, strutture ed arrangiamenti sono
da antologia anche quando si fanno scarni o addirittura crudi, la voce lascia
il segno, le atmosfere non sembrano mai fuori luogo anche quando si fanno
davvero scure: sarà l'autunno, ma ">>" suona davvero
bene.
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