the artist commonly known as technogod

tack at

2003 "labiale"


http://www.movimenta.com
Y:DK
Labiale
Il secondo disco da solista di Y:DK, in passato impegnato in Technogod e Omega Tribe, ci mette a confronto con l'anima di un musicista totalmente flippato di new wave (sia in senso internazionale che italiano) ed in bilico tra l'asse portante -elettronico- e le tendenze rock-cantautoriali. Scurissimo negli accenti, quasi claustrofobico per certi versi, a partire da un cantato depeche/sisters/litfiba (molto "già sentito", specie nel rock nostrano) che a lungo andare rende arduo proseguire l'ascolto. È un peccato, perché il lavoro sulle basi -rarefatte, spaziali, accompagnate da scarni arrangiamenti di chitarra- è davvero eccellente.
recensione di Francesco Farabegoli [Kekko]

 

http://www.idbox.it
A volte ci s’imbatte in un disco di qualcuno mai sentito nominare prima. Lo ascolti, scopri che passato ha il suo autore, ti cospargi il capo di cenere ed incominci a domandarti dove sei stato negli ultimi anni. Nel caso di Y:DK, di tutto si tratta tranne che di un novellino. Dietro il moniker da codice fiscale si nasconde George Koulermos, dj, produttore, membro dei Technogod, Omega Tribe, Lost Legion. E come se non bastasse, questo è il suo secondo disco. E conferma un piacevole accanimento nei confronti dei cantautori genovesi, cominciata nel precedente “>>”, dove il nostro rielaborava in chiave post-punk “Un Giorno Dopo L’Altro” di Luigi Tenco (sua anche “Una Vita Inutile” nel tributo “Come Fiore In Mare”), e perpetrata in “Labiale)” con la manipolazione di “Dormi” di Gino Paoli.
Non è eresia affermare che ci si trovi davanti ad un lavoro cantautoriale. Sì, certo, ci sono le macchine, i synths, i samples abbondano e Y:DK è un dj ma l’approccio, in almeno metà disco, è da songwriter. Innanzitutto per l’impianto narrativo, per l’esigenza comunicativa che traspare in ogni pezzo, per le parole che, quando presenti, per quanto filtrate e sottomesse ai suoni, levano il capo e s’impongono a catturare l’attenzione dell’ascoltatore. In secondo luogo colpisce la struttura dei brani che, oltre a svilupparsi su strumentazioni più canoniche come chitarra e pianoforte, seguono schemi tradizionalmente autoriali. A questa cura per la forma ed il contenuto corrisponde un’altrettanta attenzione per l’estetica: ogni suono è perfezionato con perizia certosina e niente è lasciato al caso da una produzione attenta ai particolari.
Il blues malato di “Icaruswept”, il tautologico “Sospettango”, le chitarre di “Lull” mutuate dai Cure più melodici e depressi, la bossa scarnificata di “Dormi”, come un quarantacinque giri mandato a trentatré: le atmosfere entro cui si muove Y:DK sono prevalentemente scure, pesanti come certa nebbia autunnale, a volte claustrofobiche ed implosive, altre quasi solari seppur pervase da una malinconia latente, come in “Falena”. Elude questa formula “Hombretta (Contuso & Felice)”, pezzo di alta qualità di scrittura e di sicuro impatto radiofonico (se programmato adeguatamente).
Un mondo di suoni nuovi e trasversalmente normali dove tecnologia e tradizione si fondono: questo si evince dal labiale di Koulermos, elegante, articolato nel suo minimalismo, a volte fuori sincro come quello di Ghezzi, ma sempre comprensibile, se si presta attenzione.[Vince B.Lorusso]

 

http://www.diradio.it
Secondo disco (pienamente in digitale) per un artista indipendente italiano dallo pseudonimo pseudobinario.
Y:DK è lo pseudonimo (molto digitale) di uno dei protagonisti più onesti ed incompromessi della cosiddetta scena indipendente italiana. Già in giro da molti anni (lo ricordiamo leader dei notevoli Technogod ed Ohmega Tribe), ha sempre avuto confidenza con un ‘elettronica marziale, secca, violenta e robotica, non meno che con un carattere intransigente, assolutamente restio a compromessi che magari gli avrebbero consentito una, peraltro meritata, maggiore visibilità. Con questo nuovo moniker giunge al secondo disco e possiamo dire che l’atmosfera si è fatta più sfumata, problematica, meno gelida. Stupisce poi questo suo reiterato interesse per la Canzone d’Autore. Già nell’album precedente e nella raccolta di covers “Come fiori in mare”, aveva triturato due classici di Luigi Tenco. Qui rimane a Genova e va a pescare un’ignota b-side di Gino Paoli, riuscendo a darle un sapore sporco e latino. L’oscurità rimane comunque la cifra stilistica dell’artista e pervade i molti generi presi a prestito, confondendo dub, tango, blues etc. con rumori assortiti, per un esito irrisolto ed affascinante.PerDiRadio: Luciano Marcolin

 

http://www.mescalina.it
C’era una volta un gruppo, all’incirca un decennio fa, che tentò (riuscendoci in parte) con una tenacia notevole di scombinare le carte dello scenario alternativo italiano. Affascinati dalla sperimentazione e coesi nel nome di un crossover totale fra punk e musica elettronica, i Technogod seppero scuotere insieme a nomi quali Meathead ad esempio, la novella scena rock che inaugurava gli anni ‘90 con strategie e propositi rinnovati.
Quando nell’underground più nascosto stavano formandosi nomi che oggi possiamo trovare senza fatica ai vertici delle classifiche di vendita, i Technogod usavano l’inglese, aggredivano l’ascoltatore con bordate impreviste di noise, accostavano campionatori a chitarre distorte, basi elettroniche aggressive ad imprevedibili sfumature ambient. Su tutto ciò spiccava una voce roca che sapeva essere dolce ed angosciante al contempo, capace di unire urla a sussurri profondi.
Seppur il gruppo si sia sciolto prematuramente da tempo, ritroviamo ancor oggi dietro lo pseudonimo Y:DK la medesima voce con un nuovo album che non può non rievocare il fantasma di quell’esperienza formidabile.
“Labiale)” è la naturale evoluzione di quanto raccontato finora, il compimento di un percorso che non poteva non sfociare in un prodotto di spessore, ponderato e riflessivo.
Incatalogabile e volutamente privo di contorni, questo album è figlio diretto dei nostri anni, imbevuti di mille stimoli, dei quali nessuno sa predominare sugli altri.
Non importa se si mescola musica d’ascolto (“Petrolchimico mon amour” è uno strumentale dall’impatto notevole) a cantautorato sbilenco postmoderno (Hombretta), brani totalmente suonati (Sospettango) ad altri basati sul puro assemblamento sintetico ("Scivolando verso", narrativa e stimolante), Y:DK si impone di realizzare una compilation che dia risalto ad una gradevolezza d’insieme ma non a costo di apparire necessariamente omogenea. Sotto questo punto di vista il lavoro è riuscito ed esemplare di una condizione di assoluta autonomia artistica, basti pensare che l’intero album è stato autoprodotto dallo stesso Y:DK in compagnia di pochi altri amici, tra cui i fedeli Loz e Phoeb.
Abbandonato il riferimento obbligato alla sola lingua inglese e tutte le coordinate di genere, la voce è qui libera di spaziare proponendo la cover curiosamente confidenziale di “Dormi” di Gino Paoli (in passato si era già confrontato con due rivisitazioni di Tenco), mentre sul fronte delle pure similitudini è curioso che in “Decompression”, in “Resolution day”, o in “Icaruswept” la vocalità riprenda il tono sfatto e nevrotico del Nick Cave di “Kicking against the pricks”, segnale che più di altri denota lo spiccato fascino che certo cantautorato decadente ha sul nostro autore.
Non sia che tra qualche anno andremo forse a considerare questo album come l’antesignano di una modalità nuova di porsi nei confronti di certo “fare canzoni”?
Andrea Salvi <andreasalvi@mescalina.it>

 

http://www.kathodik.it
kathodik
(Mox/Audioglobe 2003)
L’artista che si cela dietro “l’identità fittizia” Y:DK è stato protagonista di molteplici avventure musicali – su tutte, la (co)fondazione dei Technogod - sul filo dell’incasellabilità (in categorie di genere o merceologiche): ora con questo 'Labiale)', un monolite di sedici brani per sessantasette minuti e cinque secondi di durata, alza la posta del gioco, il tono della sfida. Che Y:DK abbia svolto l’attività di produttore lo si sente dall’amore per la complessità e il dettaglio sonoro (sentire l’iniziale Xcpt mslf, che sembrerebbe quasi provenire da 'Republic' dei New Order, se non ci fosse “quella” voce…): complessità e dettagli sonori perché i brani possiedono vari “strati”: elettronici e suonati – anche da phoeb e loz, presentati come soci di vecchia data del Nostro; altri ospiti sono Dario Guadagnino, “Sir” William Fiorini (impagabile narratore nella finale Scivolando verso) e un paio di batteristi in tre pezzi (El skiavon suona in Petrolchimico mon amour e in Sospettango; Bondi in Falena) – “veramente”; linguistici – giacché Y:DK delle volte gioca a fare il cantautore italiano più o meno destrutturato, come in Hombretta (contuso e felice) e nella già citata Falena, in altre occasioni smantella blues, folk e rock, però in perfetto stile americano (ricordando a chi scrive Everlast; una “grossa” grana vocale di primo acchito sconcentante, poi coinvolgente), come in Decompression, in Wish ed in Icaruswept - e di riferimento (passando dallo spiazzante Sospettango alla reinterpretazione altrettanto deviata di un pezzo poco conosciuto di Gino Paoli, Dormi)…
In realtà, sintetizzare tutti gli stili, le atmosfere ed i campionamenti presenti in “Labiale)” richiederebbe uno spazio simile alla durata del CD; all’amore per la canzone americana ed italiana – ai soloni che faticano a trovare eredi ai “grandi nomi” degli anni Sessanta e Settanta, segnaliamo y:dk insieme a Cesare Basile: ma avranno l’umiltà per accostarsi a loro senza pregiudizi e a capire che c’è vita e speranza oltre Vinicio Capossela? – si affianca una follia sonora notturna, “etnica” (sentire Fuera de la piel) e “cinefila” (ma è di Arnoldo Foà la voce campionata in Lull?). Un artista prezioso, da sostenere. Recensore: Marco Fiori


Il disco che non t’aspetti. Il DJ Y:DK già operativo con i Technogod mette assieme un’autoproduzione che ha i contorni dell’album rivelazione. Spettacolare e rischioso per un mercato spesso ristretto come quello nostrano, Labiale) regala sedici tracce fra inglese ed italiano in cui pare di sentire Everlast alle prese con la musica di David Sylvian, tanto per dare un punto di equilibrio al sound, in un insieme regolato da professionalità e calore, interessanti scelte sonore (fra respiri elettronici e corde acustiche) e passione da cuore nero. Intrigante.
Fabrizio Massignani

 

neural.it
Mescolando differenti sonorità con labiali intenzioni, George Koulermos, musicista, dj, produttore (fondatore dei Technogod e degli Ohmega Tribe), propone un saporito ma fin troppo pasticciato amalgama di pop, rock, elettronica, blues e folk. Aleggiano atmosfere alla Gino Paoli ("Dormi"), i fantasmi di Tenco e di Nick Cave, ma anche momenti di 'noise' e tanghi sbiruli, con incisioni condite da testi sia in inglese che in italiano. Insomma uno strano crossover, nel quale la contemporaneità sembra travisata come sommatoria d'esperienze e gusto eclettico, giocando su toni dalle intenzioni poetiche ma po(olari), dalla teatralità insistita ma non affatto necessaria (gli Avion Travel evidentemente fanno scuola). Si dirà canzone d'autore, anche se oggi è improbabile, se non con una certa nostalgia, pensare a questa forma espressiva in modo propositiva, illudendosi soprattutto che l'essere autori (e quindi per statuto creativi) preservi nel bene e nel male dal confrontarsi con l'esistente.
Aurelio Cianciotta
musicplus.it

 


Seconda prova solista per Y:DK, voce dei Technogod e affermato dj nelle italiche notti di trasgressione elettronica. Seconda prova che mette in luce un aspetto malinconico (“Hombretta (Contuso E Felice)”) di questo chansonnier del duemila, che non si nasconde dietro ad un dito, ma mette in piazza umori e certezze, problemi e soluzioni. Seconda prova intrisa di tristezza (“Wish”), di struggente passione (“Falena”) ed etno elettronica (“Fuera De La Piel”). Un disco pacato nei modi e nei suoni, un disco che si muove tra sonorità disparate, ma sempre con un preciso obiettivo: fare della musica una ragione di vita e lanciare messaggi. Y:DK si trova a suo agio in un mondo fatto di circonferenze e circolarità, come si presume dalla copertina, però fate attenzione, dietro l’angolo (sotto il cd), si possono trovare visioni buie e sinistre. “Labiale” è un viaggio in italiano ed inglese (le due lingue di Y:DK) tra le pieghe dell’animo. Pieghe arrotondate o a spigolo vivo. Pieghe che fanno male o sfiorano la pelle. Pieghe cattive e pieghe buone. Ma le pieghe possono essere buone?
rockit.it
di Matteo Remitti (e-mail: teo@rockit.it)

 

Discorso già fatto, in parecchie occasioni.
Capita spesso di avere a che fare con note stampa prolisse, fastidiose. O peggio. Da dimenticare. Altre volte, invece, risultano utili, miglior ajuto possibile per la stesura di una recensione. Per contrasto. Puntualissime nel sottolineare tutto quello che vorrebbe essere racchiuso nel disco. Ma di cui - peccato - non c'è traccia. Una manna per chi cerca faticosamente di scriverne.
Rare, e conseguentemente accolte con gioja dal sedicente recensore, le note stampa belle, corrette e insieme funzionali. Quelle che, almeno a tratti, danno forma con parole altrui a (autonomi, non condizionati) pensieri propri. Dire/pensare la medesima cosa. Una bella sensazione. Lievemente inquietante.
Qui le due (molto rade) facciate di presentazione del cd sono accompagnate da un'"apologia di una autoproduzione" lucida (nel descrivere una tristemente frequente tipologia di discografico e una situazione complessiva non proprio rosea), (anche auto-)ironica, efficace, cruda senza essere sconsolata e battagliera pur nella piena consapevolezza di quelli che sono possibilità e spazi limitati.
Le righe precedenti solo come intro.
Anche per sottolineare - non ce ne dovrebbe essere bisogno - che i virgolettati successivi non sono miei.
Labiale) è il secondo album solista di y:dk, dopo l'ottimo esordio ">>".
Nuovamente corposo, lungo.
(Quasi) altrettanto eterogeneo nelle forme, ma molto più coeso e compatto negli esiti, meno 'centrifugo' rispetto al precedente. E complessivamente rallentato.
"Labiale) vaga dal dub al tango passando per il blues e il folk". Ma è difficile che l'ascoltatore se ne renda conto: quella presentata come "una musica essenziale e scarnificata, che lascia molto più all'immaginazione che all'udito", infatti, è invece risultato di un'accuratissima stratificazione di tracce, in cui "l'elettronica c'è, ma spesso è celata", soprattutto nei numerosi brani strumentali.
Facile trovarsi persi in "atmosfere, come di consuetudine, plumbee, a volte gelide, sonnolente, forse un po' nevrotiche". Imprevedibilmente rapiti da "Musiche d'ascolto, d'ambiente (?!, ndt), sempre nella penombra".
Un pajo di (riusciti) episodi "lasciano spazio ad un cantato in italiano piuttosto indefinito" ma estremamente interessante; per quanto riguarda la (puntuale) cover, dopo le precedenti riletture di Tenco, "tocca a Ginopaoli: "Dormi", una oscura b-side del genovese, viene travestita in un bossa distorto un po' psicotico e maledeorante"; qualche passaggio ("Petrolchimico...", "Fuera...") si colora di suggestioni orientaleggianti; alcune ideee nei titoli delle tracce sono, al solito, da applausi (incantevole la sola minima variazione di una lettera nella sequenza alfabetica che produce "Amarcore"). Da dimenticare il solo episodio conclusivo, poco incisivo nel testo e quasi sguajato nel parlato 'troppo' emiliano.
In un album molto compatto nonostante la (reale ma non subito evidente) eterogeneità delle forme, come detto, è da incorniciare "Hombretta", irresistibile mix di solare energia e malinconica disillusione, ottima nell'equilibrio tra parole e incedere sonoro. Davvero bella, perla di un lavoro significativo che merita organiche attenzioni. Indipendentemente dalle 'frasi fatte' del "ddr (discografico di riferimento)", dalla non appartenenza "a qualche spocchianicchia post-rock, nu-azz, laptop skacore", dalla "guerra contro l'inevitabilità" e, quando sarà tempo di bilanci, dal numero di copie vendute.
"Musica d'altri tempi. Chissà quando..."

 

The vibes.net
a cura di Vito Camarretta 10/02/2004Più che un'intervista, una presentazione. Ma val bene a ritenerci fortunati ad avere questo privilegio da parte di uno dei più espressivi autori italiani, capace di impressionare e commuovere e di trasmettere emozioni non rinunciando alla "sperimentazione" musicale, raccontando se stesso (e senza scadere nel solito banale qualunquismo, in parte chi ascolterà potrebbe riconoscersi nel sentire dell'artista) con autoironia e originalità. Qualità e capacità sempre più rare. Stiamo parlando di George Koulermos che così descrive e commenta il nuovo album y:dk. Per chi ha perso le speranze con le proposte di chi si guadagna visibilità attraverso i canali ufficiali, le etichette e l'iniziativa "indipendente" si rivelano ancora foriere di sorprese. Prodotto da Mox, labiale) -sorriso ironicamente parentetico?- è distribuito da Audioglobe. perchè labiale)?
a. perchè le donne ne hanno tre paia e ogni paio ti comunica qualcosa di diverso e spesso contrastante
b. perchè a volte ciò che pensi è fuori sincrono con ciò che dice la tua bocca
c. oppure ti rendi conto di non ascoltare più, e stai solo guardando delle labbra che si muovono senza suono
d. il gesto fisico, e la mimica, della incomunicabilità
i brani:
01.xcpt mslf accettarsi, rassegnarsi ad essere. rendersi conto che si sta vivendo una vita solo ed esclusivamente al presente senza progetti ne prospettive ne per scelta ne per vocazione ma per semplice inerzia emotiva. vivere solo per respirare, mangiare, dormire senza intenti ne motivazioni
02.decompression la decompressione come forma liberatoria. la decompressione invertita dove la discesa verso il buio ti allegerisce di zavorre psicotiche e condizionamenti. puoi ascoltare il silenzio, il tuo cuore che batte, il respiro, la leggerezza della libertà in assenza di gravità
03.petrolchimico mon amour sono stato praticamente sposato con una tarantina e nei miei numerosi viaggi a taranto sono sempre rimasto colpito dalla maestosa calma di un drago addormentato che mi accoglieva alle porte della città. quel drago era l'Italsider, il polo petrolchimico, una città di tubi d'acciaio e fumi colorati. ho sempre immaginato di girare un video mentre percorrevo le strade limitrofe attorno al drago guidando una cadillac decappottabile in questa landa bruciata dove tutto, dall'asfalto ai guardrail agli edifici e alla vegetazione hanno un color seppia come le vecchie foto. è uno dei pochi luoghi dove sono stato dove mi sentivo circondato dalla morte di tutto
04.hombretta (contuso & felice)" una ennesima canzone sulla incommunicabilità fra la gente, nei rapporti... ma a volte penso che sia molto più prezioso e rivelatorio il silenzio
05.wish ahimè una canzone d'amore, non l'ho ripudiata perchè è uscita in modo molto naturale e veloce evitando qualsiasi esame dalla commissione interna gestione orgoglio
06.zenorez zen at zero
07.falena un'altra canzone nata in modo molto spontaneo come un piccolo rigurgito di qualcosa che ti sta a cuore ma non ti va giù. quanta fatica a far finta di essere qualcosa che non siamo solo ed esclusivamente per essere accettati da persone che nel frattempo fingono quanto noi. sento odore di bruciato... un'altra falena cotta dalla mia alogena
08.resolution day disperanza mon amour
09.amarcore uno dei primi brani registrati per l'album. ha in un certo modo impostato un modus operandi su come si avrebbe sviluppato e costruito la struttura musicale di labiale), un ritorno all'utilizzo di chitarre acustiche e sonorità abbastanza naturali inserite in contesti di loop e programmazioni dal retrogusto organico
10.icaruswept la vecchiaia è spietata e nulla ti da più conforto del blues. adoro muddy waters e albert king e tutte quelle registrazioni sporchissime di bluesmen sconosciuti i quali, con pochissimi mezzi, ti strappano il cuore. mi addentrerò in questi inferi anche in futuro
11.sospettango come zenorez, amarcore e lull, è un brano strumentale, un commento sonoro di un film immaginario. se posso permettermi una citazione, io adoro renè aubry e penso che questo brano debba molto al suo approccio alla costruzione musicale
12.dormi di gino paoli. non sono un grande fan ma rimasi colpito dalle orchestrazioni hitchcockiane e dalla morbosità un pò maniacale un pò sadica del testo
13.crossed come icaruswept e wish, nasce sopratutto dalla esigenza di costruire canzoni semplici, brevi e copletamente nude. l'ascoltatore si trova direttamente di fronte al cantante a mezzo metro di distanza. la voce e le parole sono tutto e nulla. non ci sono salvagenti di suoni dietro i quali nascondersi. l'ascoltatore può sempre spegnere... il cantante ormai si è esposto
14.lull i piaceri onirici del dondolarsi nella malinconia
15.scivolando verso è mio parere che in un album come questo i brani strumentali così come l'inserimento di voci (vere o campionate) diverse dalla mia diano maggiore equilibrio al lavoro e mantengano la curiosità e l'elemento di sorpresa. la lettura di sir william fiorini è una degna chiusura che ci permette di riemergerci nel quotidiano
y:dk 'labiale' apologia di uanautoproduzione
il discografico di riferimento (d'ora in poi indicato con la sigla ddr) ti tiene in ballo. lui conosce bene l'arte di stare a galla. di non sbilanciarsi mai ma sembrare arguto e attento.
"il disco è bello, complimenti, ma..." il ddr conosce bene l'arte di farti ingoiare la peggior merda e fartela sembrare kinder bueno
"il disco è bello," e l'artista ha una immediata erezione d'ego che, assecondo dell'individuo e dei suoi tempi di ammosciamento, può durare secondi se non persino minuti,
"ma...," e già cominci ad afflosciarti
dopodiuchè le risposte sono multiple:
a.purtroppo non c'è un singolo per entrare nelle radio
b.questo non è un buon momento, risentiamoci fra 3 mesi (6 mesi, 9 mesi, 12 mesi...)
c.sentiamoci dopo sanremo
d.sentiamoci dopo le ferie (natale, pasqua, ferragosto)
e.purtroppo in questo momento siamo concentrati sulla uscita del nuovo di eros baglioni detto rossi e... puoi capire... (te non conti un cazzo)
beh, ti dici, almeno il disco gli è piaciuto (ma l'avrà ascoltato?)... nel frattempo il tuo ego si sta contorcendo come un materassino bucato e ti sta straziando il diaframma... ti manca il respiro... malgrado siano 20 anni che si ripete questa scena, non riesci mai ad abituarti
faresti qualsiasi cosa per essere desiderato, voluto
torni a casa odiando tutto: la tua faccia, i tuoi vestiti, il tuo dischino del cazzo... quello che fino a 24 ore fa sembrava veramente il culmine del tuo lavoro compositivo... la tua musica fa cagare... bisogna cambiare tutto
anzi no, forse è il caso di smetterla una volta per sempre e prendere quel lavoro da magazziniere che ti ha offerto il fratello della tua fidanza la quale, dal retrobottega del tuo subconscio ti sta lentamente corrodendo ogni ambizione musicale che ti sia rimasta, e magari, amore permettendo, una volta alla settimana posso suonare in una cover band così, per divertimento, fra amici falliti e rassegnati
mi ripiglio
non c'è più fidanzata
non c'è più lavoro
non c'è mai stata cover band
e sto disco spacca!
non venderà un cazzo, ma esiste, e mi da una immensa soddisfazione ogni volta che lo ascolto
la mia è una guerra contro l'inevitabilità
un atto d'amore e di rispetto nei confronti del lavoro che ho fatto coivolgendo altre persone che come me si sono lasciate coinvolgere per pura passione in questo delirio
senza televisione, senza network-radio
senza appartenere a qualche spocchianicchia post rock, nu jazz, laptop skacore...
ogni padre spera di poter dare al proprio figlio una vita migliore, o almeno qualche speranza in più
con questo figlio non posso che essere onesto,
sono convinto che egli capirà...
(George Koulermos)
La nostra opinione: IL DISCO SPACCA!
Considerazione del caso: I DDR? Saranno forse cecoslovacchi? O di Potsdam? Ma soprattutto: Kundera scriverà un libro su Tiziano Ferro?

 

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