the artist commonly known as technogod
tack at
07 marzo 2012 | http://www.outune.net/dischi/pillole/tack-at-whelm/50782 |
Passati
i 20 anni di attività, i Technogod cambiano nome, riportando alla memoria
quello che fece negli anni ’90 Roger Nelson aka Prince. Qua non c’entra
il defilarsi da una major asfissiante, ma comunque la stessa voglia di rendersi
liberi. Il gruppo emiliano ha una storia forte, una storia musicale encomiabile
che ha raccolto successo (molto) anche all’estero con il loro mix di new
wave-electro-dub. Negli anni, attraverso le molte pubblicazioni, la loro carica
si è diluita via via. Questo ritorno con un’altra veste è
di sicuro più accessibile, più melodico e ascoltabile. Come un
fluidificante piccoletto ma snello e agile, abile ad instillarsi e a colpire
nel segno. Nonostante questa specie di abbordabilità finale del suono
i brani tengono fede alla traduzione del titolo del disco: sommergere, sopraffare.
Emotività e disturbo a braccetto. Dietro a questa nuova ragione sociale
troviamo gli stessi protagonisti di vent’anni fa con un invariato spirito
sarcastico pieno di disillusione da buttare dentro ai singoli brani.
Luca Freddi
Mar 19th, 2012 | By NerdsAttack.net |
A
tre anni di distanza dall’ottimo ‘Pain Trtnment’ tornano i
Technogod, da vent’anni bandiera dell’elettronica italiana. Cambia
il nome ma la proposta si mantiene fedele alle contaminazioni fra rock e elettronica.
‘Whelm’ è un interessante miscuglio non convenzionale di
diversi approcci elettronici. All’interno del disco ci si destreggia fra
dub, momenti marcatamente industrial, irresistibili riff electro-funk, e pezzi
trainati da synth plasticosi, ottantiani, irresistibilmente catchy. Ogni pezzo
è una storia a sé, la continuità è piuttosto data
dalla libertà compositiva che permea l’intero disco, una prova
di libertà artistica esaltata dall’immediata bellezza di un disco
anticonvenzionale ma non presuntuoso. Sperando che non sia l’ultimo colpo
di coda di questa bella realtà ormai più che maggiorenne, salutiamo
con gioia questo grande ritorno. [***1/2]
Luigi Costanzo
21 marzo 2012 | http://www.rollingstonemagazine.it/musica/streaming/Whelm/50399 |
Wave,
dub, rock ed electro per i Technogod che si smarcano dalla loro storia ventennale
e si reinventano come Tack At, e arrivano al quinto disco, giunto a tre anni
di distanza dal precedente Pain Trtnment: uno stupefacente mix di generi, un
autentico melting pot musicale che racconta bene le ansie e le contraddizioni
del mondo di oggi. Tack At come "attack" ma anche come "The Artists
Commonly Known As Technogod". Forse ai diretti interessati non fa piacere
che venga ricordato ogni volta, ma dietro questa denominazione misteriosa si
nasconde una delle formazioni italiane che con maggior successo ha mescolato
nel corso degli ultimi vent'anni analogico e digitale, furia punk-rock e contaminazioni
electro-dance-dub. I Technogod non hanno smesso di esistere, ma come già
successo a Prince all'epoca della sigla Tafkap rimescolano le carte in tavola
e si sganciano da un nome ingombrante per essere veramente liberi.
Rolling Stone vi presenta lo streaming integrale del loro quinto disco Whelm:
Whelm come "sommergere", "sopraffare", ed è fedele
a questo titolo il lavoro, una stordente cavalcata sonora di un'ora che non
sfigurerebbe in una rappresentazione cinematografica di una realtà distopica
e disturbante.
26 Febbraio 2012 |http://www.sentireascoltare.com/recensione/9854/tack-at-whelm.html |
Di
fronte ad uno pseudonimo del genere come fai a non ripensare alla mossa del
caro Roger Nelson quando - correvano i primi Novanta - per smarcarsi dalla marcatura
asfissiante delle major decise di negarsi come Prince per reinventarsi Tafkap.
Nella fattispecie le motivazioni sono diverse, ovviamente, ma in fondo è
sempre un rendersi irreperibili, una dichiarazione di libertà, mettendo
davanti al sé artistico la calligrafia e l'estro espressivi. Tack at,
quindi, ovvero the artist commonly known as technogod, una storia ormai quasi
ventennale all'insegna dell'ibridazione tra rock carburato punk e un ventaglio
di istanze electro wave e dub, tra materico e sintetico insomma come già
scrivemmo nella rece del predecessore Pain Trtnment, ormai tre anni fa. Il combo
emiliano lustro dopo lustro ha forse visto sbiadire il mordente, la presa sul
contemporaneo, però come dimostra questo Whelm sembra averci guadagnato
in disincanto.
Si muovono scafati e irrituali tra le linee, con irriverenza antiintellettuale,
umorismo scostante e arcigna intensità, troppo fisiologicamente scomodi
per covare ambizioni radiofoniche (anche se la teatralità danzereccia
di una Monochrome - nel solco tra Depeche Mode e New Order - o i trastulli electro
clash à la Peaches di Sokola...) ma refrattari all'alternativo ad-ogni-costo.
Insomma, finché azzardano ibrido ingrugnito electro funky come Everybody
Needs Somebody (Else) To Love, o prefigurano un Nick Cave in fregola Notwist
come Thousand Yard Stare, o si giocano una Punk's In The Bank che ammicca i
Wire più trafelati in salsa drum'n'bass (ospite Valenteena dei punk-rocker
felsinei The Valentines), si limitano ad essere intriganti. Il bello arriva
quando profilano il sound su modalità plasticose ultra 80's, che sembra
quasi lo facciano apposta a sconcertarti, a smazzarti i punti d'appoggio. Vedi
come la turpe Callboi sciorini black sintetica e wave bianchiccia scavalcando
i Rapture all'indietro per sembrare un Ray Parker Jr che sogna d'essere Iggy
Pop, o quella Atalantis Babylon che prefigura apocalissi di spazzatura declinando
Greg Dulli al german pop di Michael Cretu.
Niente po-mo a giustificare lo sconveniente meticciato, semmai una sfacciata
mancanza di preconcetti e timori reverenziali. Ne risulta un ascolto stranamente
leggero ma destabilizzante, affabile e sovversivo.
(7.1/10)
Stefano Solventi
23/03/2012 | http://www.spaziorock.it/recensione.php?id=2419 |
Quinto album per il duo una volta conosciuto come Technogod, i Tack At ci vogliono sopraffare (“Whelm”, per l’appunto) con 15 canzoni equamente in bilico tra un country rock crepuscolare e sgangherato alla Nick Cave nella prima parte d’opera, ed un corpo centrale maggiormente elettronico con tanto di deriva tribaleggiante da new wave francese (in “Ersatz Kultur”). “Siamo out e molto off…e decisamente under”, ribadiscono con fierezza i ragazzi nella press note del disco, ed effettivamente con questa chiave si può interpretare il fatto che siamo di fronte ad un disco che fa, principalmente, della new wave ottantiana il collante che tiene insieme le diverse anime dell’opera, tra cui anche una parte conclusiva che, sempre in chiave rock, ne prende i toni decadenti dell’incipit elevandoli in energia e carica, con una “Punk’s In the Bank” tra le migliori proposte del lotto, merito anche delle voci femminili che, ogni tanto, vengono ad animare le diverse composizioni (ricordiamo, tra le altre, Nina Temple su “Jacques Le Noir” e Rox De Fauz sulla robotica “Sockola”).
Fabio Rigamonti
27 marzo 2012 | http://www.dagheisha.com/prod/music/reviewCd.jsp?idCd=6328 |
Non vi fate confondere dal nome perché dietro al moniker Tack At si celano i Technogod ovvero venti anni di attività alle spalle e il desiderio di sentirsi liberi in un mercato che riesce soltanto a “sommergere, sopraffare” quello che pensiamo di avere compreso. Y:dk e Loz tornano nei negozi a tre anni di distanza dal discusso 'Pain Trtn Ment' che aveva confermato un'invidiabile indipendenza artistica. Con l'aiuto di Bonito Bonez alla batteria e alcuni guest dietro al microfono il duo offre altri quindici trasgressive interpretazioni della miscela formata da new wave e dub. Rispetto all'album precedente si avverte il desiderio di trovare percorsi melodici più netti senza intaccare l'attitudine sperimentale che agli albori degli anni novanta spinse alla creazione di 'Hemo Glow Ball'. La Contempo non esiste più, quella scena forse non è mai esistita eppure i Tack At sono sempre pronti a regalarci ritagli di classe come 'Awoke', 'Monochrome' e 'Punk's In The Bank' che schiaffeggiano a dovere la concorrenza. Se solo ne uscissero più spesso di dischi del genere..
Lorenzo Becciani
14 aprile 2012 | http://www.kdcobain.it/tutte-le-recensioni/257-tack-at--whelm-recensione.html
Tack
at è il monicker dietro il quale si celano i Technogod, storica band
emiliana che da vent'anni anima il panorama musicale underground italiano:anzi,
per essere precisi, Tack At sta per “the artist commonly known as Technogod”,
chiara trovata di Princeana memoria. Con questa nuova denominazione escono con
“Whelm”, 15 brani, 60 minuti di musica che andrebbero menzionati
nella loro interezza. I Tack At, infatti, ci ammaliano con il loro blend di
elettronica, wave e atmosfere dolenti, sembra quasi di trovarci davanti a dei
Nick Cave o a dei Depeche Mode calati in un magma di synth bollenti, beat sudici
ma in realtà questa definizione non rende giustizia alla musica del gruppo
bolognese.
Sono parecchi ibrani degni di una segnalazione: l'electrofunk dal refrain assassino
di “Jacques le noir”, il country-beat da Johnny Cash post-atomico
di “Awoke”, che fa mangiare la polvere a giovincelli cone The Kills
o Raveonettes, o ancora il synth-funk a tinte acide di “Callboi”,
le atmosfere noir e decadenti di “Thousand Yard Stare” e , infine,
il dub malato della conclusiva “Skoofus”. C'è in realtà
anche qualche pezzo non completamente riuscito, ma sono sottigliezze che non
inficiano la qualità complessiva dell'album che è molto elevata.
Giacomo Messina
16
aprile 2012 | http://www.shiverwebzine.com/2012/04/16/tack-at-whelm-2012-moxloz-studio/
”Whelm”
è 60 minuti in cui non hai nessuna speranza di sentirti meglio ma solo
di sentirti quello che sei: serio, stupido, divertente, leggero e pesante. Un
album che potrebbe benissimo essere la colonna sonora di un film di azione alla
Rodriguez in cui tutti si sparano ma nessuno muore, così il film non
finisce mai e si ripete come in un limbo.
I Tack at sono una delle poche formazioni che è riuscita a mescolare
l’elettronica, il punk (quello cattivo) e la new wave anni ’80 in
modo vero, schietto e spiazzante, come nessun gruppo italiano. Questo è
un album complesso ed intenso, che parla di sesso, di guerra, di sensazioni
forti e reazioni post trauma, si passa dalla electrowave di “Monochrome”
alla etnica bassosità di “Ersatz Kultur”. La new wave è
padrona, sia nelle melodie che in alcuni bassi come in “Everybody needs
somebody else to love” o in “Jacques le noir”, questa davvero
trascinante aiutata dalla voce femminile di Nina Temple. C’è spazio
anche per l’elettronica funk and bass in “Sockola” e “Callboi”
come fossero piccoli lumi di stupida e pura frenesia, intramezzi di necessità
per chi è crudo secco e tagliente.
Le ultime tracce dell’album, precedute da “Punk’s in the bank”,
sono decisamente spostate sul punk urlato e divertente, un mix tra punk, wave
ed electro che termina nell’ultima traccia, dove si torna a essere sommersi
e soffocati, la traccia chiamata “Skoofus”, (skank+doofus) rappresenta
l’inutilità di una prostituta e la sua figura melanconica, sfatta
e reale.
Per chi ama tutto questo, di sicuro non ne sentirà parlare su mtv o negli
aperitivi del suo quartiere radical chic. Andateli a cercare e se siete pronti,
troverete da dissetarvi.
Emanuela Marchetti
08/05/2012 rockit.it | http://www.rockit.it/recensione/19457/tackat-whelm
Tack
at è 'the artist commonly known as Technogod' già dall'album precedente,
"Pain trtn ment". "È sempre e comunque riconoscibile",
rifiuta la qualifica di 'extechnogod' anche se tecnicamente ribadisce il concetto
stesso nel nuovo nome. Sceglie di continuare a sovrapporre e 'attorcigliare'
- termine felice - suonato e programmato, senza mimetizzarli, senza curarsi
di confonderli fino a renderli indistinguibili, anzi, e senza scegliere uno
a scapito dell'altro, né a livello di bilanci finali né all'interno
delle singole tracce.
Errore di battitura, avevo scritto 'inferno'.
Andava bene comunque, forse.
'Whelm' ha una confezione pregevole, colore rosso metallizzato, gradevole al
tatto.
Parte, ed è in linea con quello con cui deve essere in linea. Tack at.
Basso, chitarra, batteria, elettronica. E la voce, la solita voce, caratterizzata,
da prima di 'voiceovermatter' a oggi. Via. Idee chiare, sembra.
Ma le voci femminili, dichiarate esplicitamente o nascoste dietro psuedonimi,
tra l'etereo, l'acido e il disturbante, contribuiscono a confonderle, le idee.
Non solo loro. I temi, se è vero che 'Whelm' è "un agglomerato
di ironia, sarcasmo, bmovie, stupidità ed electroerotica", ed è
vero, fanno altrettanto. Lontanissimo dall'essere un concept album, frammentato,
ma mai disomogeneo, quasi monolitico, nell'insieme.
E pieno di appigli per dire il contrario.
Non se ne esce, non ne esco.
Ci sono ottimi motivi per definirlo 'vecchio'. Ci sono ottimi motivi per trovarlo
aggrappato al futuro. È drammaticamente lontano dall'essere cool, ma
prende bene. Ha i soliti testi curati, tra storie come vanno raccontate in una
traccia di qualche minuto, immagini evocative e la disinvoltura nel cantare
"we'll be vincentmonica, we'll play johnnyvanessa" o "everybody
needs somebody (else) to love". Non mi è piaciuto, ai primi ascolti.
Non si fa volere bene. So che l'ho già scritto per qualcuno dei precedenti,
qui è ancora più vero. O forse no. Mi piace. Non smetto di ascoltarlo.
Colonna sonora di una serata di parole, è sembrato bello, tanto, all'ultima
persona da cui mi sarei aspettato - per gusti, per età - una recensione
positiva. Entusiasta. Non è certo da proporre a priori per un'allegra
notte di danze, ma a tratti è complicato restare seduti.
C'è una lunga lista di pezzi che viene voglia di candidare al premio
di 'questo non è il migliore del disco', ma non ne toglierei alcuno,
mentre ci si muove dal limbo iniziale santificato da "Monochrome"
al guizzo apocalittico di "Sockola", dai punk in banca alla delicata
"Skoofus" in chiusura. Delicata?
Continuo ad ascoltarlo.
Non se ne esce.
E continuo ad ascoltarlo.
Sarà nei miei cinque dischi a fine anno.
E se per caso, invece, come auspicato, questa cosa che abbiamo intorno finirà
definitivamente intorno al venti dicembre, come qualcuno dice, "Whelm"
ci stava, un buon posto tra i dischi degli ultimi dieci mesi prima di festeggiare
la fine del mondo.
Eccome.
di Matteo Remitti
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